Il ricordo del direttivo della Camera penale “Serafino Famà” di Catania alla vigilia dell’evento formativo di Sabato 18 Febbraio, organizzato con AGA e col patrocinio del Consiglio dell’Ordine Avvocati di Catania.
“Quanta strada percorsa assieme; quante battaglie, quante speranze, amarezze e disillusioni. Tutto ciò fu la loro storia, in gran parte parallela. Erano amici e colleghi; accomunati dal sentimento, dalla professione, dal destino, pur con le disarmonie del tempo.Le loro voci ci mancano; Come il ricordo del dannato amore per le sigarette. Se tornasse Italo Svevo gli dedicherebbe un nuovo racconto, proseguendo “La coscienza di Zeno”; U.S. (Ultima Sigaretta). Una promessa mai mantenuta. Furono giganti dell’avvocatura; con stili diversi: la sobrietà di Alfio a fronte della tenacia ed irriducibilità di Ernesto. Eppure vi fu un comune denominatore per le loro vite: una passione indominabile per la Toga. E se ne andarono così: con la toga sulle spalle, fino all’ultimo respiro, chiamati a rammentare che il destino di un uomo talvolta si sposa con il sostegno e le prospettive di chi lo difende. Una morte che si presentó, per entrambi, come “un vizio assurdo”, volendo ricordare una immagine tanto cara a Cesare Pavese. Da quella terra solare; da quella costa salina e dalle vedute stupende delle loro origini, fino alla nostra Cittá, lungo i tragitti che furono al tempo stesso opera, sacrificio e destino, essi percorsero il viaggio della parola e quello della ricerca della veritá processuale. Senza compromessi, con la sola forza della ragione. Avvocati che seppero utilizzare il telescopio, per una visione d’insieme, al pari del microscopio, per cogliere il particolare piú significante; quella traccia del fatto che, alla luce rischiarante del diritto, avrebbe costruito l’ultimativa tesi della Difesa. Quella vera. Vissuta con autentico pathos; senza infingimenti né coperture. A viso aperto in ogni aula, dal Giudice di Pace alla suprema Corte di Cassazione. Due processualisti di valore straordinario. Alfio, con la sua grafia a stampatello redigeva gli atti con eccelse stilografiche di cui era anche collezionista. E da lì in avanti, verso logiche stringenti e inarrestabili, con l’ausilio di osservazioni, note, chiose, fino alla legittima conclusione. E cosa dire di Ernesto: l’intero Parlamento dovette affrettarsi a modificare la normativa sulle intercettazioni di cui lui aveva, da solo, colto taluni limiti e altrettanti vizi. Avvocati che non dissero mai cose vacue; che fecero della fiducia insita nei loro mandati, la corazza per scendere nell’arena al fine di confrontarsi lealmente con tutti: controparti, colleghi, giudici e pubblici ministeri. E tutti costoro ricambiarono con sentimenti di stima prima e di sincero rimpianto, allorché dovettero assentarsi. Avvocati che seppero coltivare e promuovere il valore del dubbio, erede del ragionamento e segno tangibile di ogni libera intelligenza. Ci manca, dicevamo poc’anzi, l’azzurro evanescente del fumo delle loro sigarette. Ci manca, con Alfio, la preziositá della sua ultima penna, dal rigore esteriore fino a quello piú intimo e vero: un inchiostro dal contenuto indelebile, l’appropriata proiezione del segno equivalente ad un messaggio di garanzia e di libertà. Ci manca quel colore marrone tanto amato da Ernesto e che tutti abbiamo associato all’attesa della sua parola; arcigna talvolta, ma passionale e convinta fino alla sofferenza. Insegnarono a molti, soprattutto ai giovani, il significato profondo della Toga: un incrocio di destini ove il sacrificio, il tormento e lo studio, lasciavano i loro segni nelle pieghe e negli appunti dei loro codici. Chi ha avuto la fortuna di conoscerli e di frequentarli oggi soffre per il vuoto che hanno lasciato. Eppure il rimpianto non può essere l’arbitro della memoria. Perché essi dissero a gran voce, alla umanità che affolla le aule di un tribunale, che anche per i casi più disperati vi puó essere ancora un orizzonte. L’orizzonte possibile di una soluzione; il prototipo di un destino alternativo. É l’immagine di un passo sicuro, percorso con la schiena dritta e con la compagnia della dignità e del sapere. Li vediamo ancora unavolta così, mentre si allontanano chiacchierando tra di loro, in attesa di un prossimo impegno. Adesso li ricordiamo con affettuosa amicizia e grande riconoscenza. In un tempo in cui si registra la carestia di certi valori di cui essi furono portatori, a loro compete, ancora una volta, il ruolo che tutti gli riconoscono: furono Avvocati veri. Nel loro segno e con il loro esempio, ci parlano ancora e le loro voci non si sono spente.”
Catania, febbraio 2023- Il Direttivo della Camera Penale “Serafino Famá”